«Io son valdese, del popolo della “pre-riforma” perseguitato, bruciato, massacrato ma mai vinto; forse questo spiega in parte la mia testardaggine» (Guido Rivoir, “Le memorie di un valdese”, 27)

La famiglia Rivoir, da sinistra: Ilda (1897), Guido (1901), Olga (1908), la mamma Marianna (1874), Giulia (1893), Mario (1910), il padre Alessandro (1866), Adolfo (1895) e Silvio (1906).

«A diciassette anni mi arruolo nell’esercito come volontario di guerra. Vi era stata la disfatta di Caporetto, con gli studenti locali avevamo raccolto foglie di faggio per preparare materassi ai profughi che giungevano dal Veneto. A scuola, alle lezioni di storia mi avevano parlato del nemico ereditario: l’Austria. Bisognava vincerla. Avevo letto “Cuore” di De Amici, la “piccola vedetta lombarda” […]. Tutto mi spingeva a fare quel che consideravo il mio dovere, ad arruolarmi per… salvare la Patria» (Guido Rivoir, “Le memorie di un valdese”, 43)

«Ci siamo conosciuti, la mamma ed io, a Firenze quando ero studente in teologia presso la Facoltà Valdese e lei studentessa al Magistero (corso universitario per insegnanti dopo la scuola normale). L’ho vista nei rari incontri della gioventù evangelica di Firenze ed in quelli più simpatici propiziati dal Prof. Luzzi a casa sua. Luzzi era, se non un amico, buon conoscente della famiglia Ginoulhiac» (Guido Rivoir, “Le memorie di un valdese”, 27)

«E continuava la solita vita, ormai in sette, tra figli e genitori, ma una vita nient’affatto monotona. Ricordo Roberto che si doveva allenare, giovane, ad andare a San Secondo (un’ora di strada andata ed una ritorno, in salita) per fare le compere, non essendoci magazzino valido a San Bartolomeo; ricordo Eugenio che, correndo in chiesa, cade e si spacca il cuoio capelluto sanguinando a iosa; ricordo Elena piccolissima che volendo imitare i fratelli che si arrampicavano sul muro cade e quasi si taglia la lingua in due su uno spigolo di pietra…» (Guido Rivoir, “Le memorie di un valdese”, 123)

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Federica Spitzer

(Vienna 1911 – Lugano 2002), di origine ebraica, scelse volontariamente la deportazione a Theresienstadt per salvare la vita dei suoi genitori. Scampata alla Shoah, testimoniò ai giovani delle scuole ticinesi l’orrore del Lager, ma anche l’irriducibile forza di resistenza degli esseri umani.

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Marietta Crivelli Torricelli

(Lugano 1853 – 1928), fondatrice della “Società di mutuo soccorso femminile”, delle “Case del soldato” e di numerose altre iniziative filantropiche, per tutta la vita si dedicò con energia e abnegazione ai bisognosi, tanto da essere soprannominata e nota in tutto il Cantone come la “Mamma dei poveri”.

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Francesco Alberti

(Montevideo 1882 – Bellinzona 1939), sacerdote cattolico, direttore del quotidiano «Popolo e Libertà» e amico di don Luigi Sturzo, fu tra i primi nel Canton Ticino a denunciare con fermezza le colpe e i pericoli del fascismo, nonché i soprusi della guerra di Spagna e di ogni totalitarismo.

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Carlo e Anna Maria Sommaruga

Carlo Sommaruga (Lugano 1902 – Roma 1955), diplomatico svizzero, a rischio della vita diede protezione a famiglie ebree perseguitate dai nazifascisti, ospitandole nella sua casa romana e a Villa Maraini. Sua moglie Anna Maria Valagussa (Roma 1905 – 1998), infermiera della Croce Rossa, si spese per aiutare rifugiati italiani riparati in Svizzera, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, politica o confessionale.

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Guido Rivoir

(Champdepraz 1901 – Lugano 2005), pastore valdese, antifascista e generoso sostenitore di persone in difficoltà, dopo il colpo di stato che depose nel 1973 il presidente Allende e inaugurò la dittatura di Pinochet fu tra i più convinti sostenitori dell’azione “Posti liberi per i rifugiati cileni”.

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