La trentennale collaborazione di Francesco Alberti con il quotidiano conservatore “Popolo e Libertà” ebbe il suo apice nelle due stagioni in cui ne fu direttore (1921-28 e ancora nel 1935-39), imponendo alla testata una linea chiara di difesa della democrazia, di rispetto delle minoranze e di promozione della pace, improntati ai valori cristiani. La fermezza delle sue posizioni, soprattutto nei confronti del governo fascista, gli procurò problemi anche all’interno dello stesso partito conservatore, proprietario del giornale. Negli anni in cui non fu direttore (1928-35) Alberti rimase comunque responsabile delle pagine di politica estera del giornale.
Edizione del quotidiano conservatore con la “Novella del lunedì” curata da don Alberti (12 luglio 1926).
«La questione che più urgentemente ci interessa è quella dell’indirizzo, specie per quanto attiene la politica estera. Si trova che il giornale combatte eccessivamente i regimi dittatoriali» (Angelo Tarchini, Verbale del Partito Conservatore Democratico, 13 maggio 1933)
Giuseppe Lepori (1902-68), astro nascente del partito conservatore e direttore del “Popolo e Libertà” dal 1928 al 1935, promosse una linea in tutto simile a quella di don Alberti.
Angelo Jelmini (1893-1968), vescovo di Lugano dal 1935, difese sempre l’operato di don Alberti.
«Non dico nulla che possa sorprendervi soggiungendo che certi atteggiamenti di don Alberti in confronto dell’Italia mi sono parsi esagerati. Ho scritto a suo tempo al defunto direttore e gli ho osservato che la pubblicazione troppo visibile di articoli che venivano da don Luigi Sturzo costituiva un errore» (Giuseppe Motta, lettera al “Popolo e Libertà”, 4 novembre 1939)
Il consigliere federale Giuseppe Motta (1871-1940) nel suo ufficio di Berna negli anni trenta. Il leader del partito conservatore si scontrò più volte con don Alberti per le sue critiche al governo italiano.
«Il carattere essenziale del totalitarismo sta nel fatto che non si può restar fuori dal sistema, tutto (famiglia, cultura, religione, economia, attività) essendo sottoposto allo Stato. Grave negli Stati totalitari è la consacrazione del principio della supremazia della forza sul diritto, del predominio del potere sulla morale e, più di tutto, l’educazione alla violenza e all’odio contro l’avversario a detrimento dei suoi diritti personali» (Luigi Sturzo, articolo apparso sul “Popolo e Libertà”, 29 ottobre 1938)
Un giovane Luigi Sturzo (ca. 1920).
Negli anni dell’esilio.
Dopo l’abrogazione del “Non expedit”, la pronuncia della Santa Sede che impediva ai cattolici la partecipazione alla vita politica del Regno d’Italia, nel 1919 il sacerdote siciliano Luigi Sturzo (1871-1959) poté fondare il Partito Popolare Italiano. Il grande successo della sua formazione politica si scontrò subito (1922) con la nascita del fascismo, nei confronti del quale Sturzo ebbe sempre parole di ferma condanna. Per questa ragione trascorse i successivi 40 anni in esilio, prima in Inghilterra poi in America, luoghi dai quali continuò a lavorare in favore della democrazia e della lotta contro ogni totalitarismo. Entrato in contatto con don Alberti durante un soggiorno a Losanna nel 1933 (si sarebbero incontrati dal vivo soltanto una volta, a Parigi, nel 1937), Sturzo divenne un regolare collaboratore del “Popolo e Libertà”, sul quale scrisse articoli tra i più liberi che si potessero leggere allora nella Svizzera di lingua italiana.
Un articolo di Sturzo apparso sul «Popolo e Libertà» il 19 novembre 1936.