«Da quel momento in poi, i nostri nomi ebbero un’importanza solo secondaria. Contava molto di più il nostro numero di trasporto. A me fu assegnato il numero IV/12-778. All’arrivo, fummo condotti nella cosiddetta chiusa, una caserma in cui rimanemmo per alcune ore per i controlli personali e del contenuto dei nostri bagagli. Ciò fu eseguito da gendarmi cechi: se gli piaceva qualcosa del contenuto dei nostri sacchi, se ne appropriavano senza che noi potessimo nulla eccepire. Poi cominciò la marcia per le strade di Theresienstadt» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 44)

Appena giunti nel campo di Theresienstadt i detenuti ricevevano un titolo di identificazione personale che sostituiva qualsiasi documento posseduto sino ad allora (Archivio storico di Lugano, Fondo Federica Spitzer).

Documenti di identità di Federica Spitzer rilasciati dall’amministrazione del ghetto di Theresienstadt. Sostituirono ogni passaporto o carta d’identità posseduti in precedenza (Archivio storico di Lugano, Fondo Federica Spitzer).

«Come infermiera, ricevetti poi un lasciapassare; altri non potevano per nessun motivo uscire in strada. Ma, in caso di controllo, anch’io dovevo poter dimostrare che stavo percorrendo la via più breve dal lavoro alla mia ubicazione. Sarei stata punita durissimamente se fossi stata scoperta sulla strada della panetteria e per di più con un pezzo di pane nascosto sotto il cappotto» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 60)

Lasciapassare che permetteva a Federica Spitzer di circolare nel ghetto anche oltre le ore 20, se richiesto dalle sue mansioni di Stationenschwester, infermiera del campo (Archivio storico di Lugano, Fondo Federica Spitzer).

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Federica Spitzer

(Vienna 1911 – Lugano 2002), di origine ebraica, scelse volontariamente la deportazione a Theresienstadt per salvare la vita dei suoi genitori. Scampata alla Shoah, testimoniò ai giovani delle scuole ticinesi l’orrore del Lager, ma anche l’irriducibile forza di resistenza degli esseri umani.

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Marietta Crivelli Torricelli

(Lugano 1853 – 1928), fondatrice della “Società di mutuo soccorso femminile”, delle “Case del soldato” e di numerose altre iniziative filantropiche, per tutta la vita si dedicò con energia e abnegazione ai bisognosi, tanto da essere soprannominata e nota in tutto il Cantone come la “Mamma dei poveri”.

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Francesco Alberti

(Montevideo 1882 – Bellinzona 1939), sacerdote cattolico, direttore del quotidiano «Popolo e Libertà» e amico di don Luigi Sturzo, fu tra i primi nel Canton Ticino a denunciare con fermezza le colpe e i pericoli del fascismo, nonché i soprusi della guerra di Spagna e di ogni totalitarismo.

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Carlo e Anna Maria Sommaruga

Carlo Sommaruga (Lugano 1902 – Roma 1955), diplomatico svizzero, a rischio della vita diede protezione a famiglie ebree perseguitate dai nazifascisti, ospitandole nella sua casa romana e a Villa Maraini. Sua moglie Anna Maria Valagussa (Roma 1905 – 1998), infermiera della Croce Rossa, si spese per aiutare rifugiati italiani riparati in Svizzera, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, politica o confessionale.

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Guido Rivoir

(Champdepraz 1901 – Lugano 2005), pastore valdese, antifascista e generoso sostenitore di persone in difficoltà, dopo il colpo di stato che depose nel 1973 il presidente Allende e inaugurò la dittatura di Pinochet fu tra i più convinti sostenitori dell’azione “Posti liberi per i rifugiati cileni”.

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