«Se del “Voltamarsina” ho potuto dire che se non piaceva a voi piaceva a me, di questo romanzo, a rimaner schietto, non posso dire altrettanto. Gli riconosco, comunque, un valore storico. La storia principale e gli episodi li ho ricavati da un fascio di atti autentici, inediti, che quel paziente ed intelligente raccoglitore che era il defunto parroco di Castelrotto, don Matteo Elia, mi aveva un giorno consegnato perché ne traessi un romanzo che servisse di illustrazione della vita nel nostro Malcantone, qual era un secolo prima dell’epoca fotografata nel “Voltamarsina”. […] Il fatto principale è avvenuto nel 1777, cioè una decina di anni prima che il ragazzo milanese Alessandro Manzoni venisse a Lugano, nel collegio dei Somaschi. Del fatto se ne sarà parlato certamente a quell’epoca e chissà che Manzoni non se ne sia servito per la sua grande opera?» (Francesco Alberti, prefazione a “Diavolo d’una ragazza!”, 1939)

A distanza di sei anni dal “Voltamarsina”, Francesco Alberti scrisse un secondo romanzo storico di ambientazione malcantonese. Lo stimolo gli giunse, per sua stessa ammissione, da documenti archivistici settecenteschi e dal bando di un concorso letterario promosso da un facoltoso emigrante locale. Vinse il primo premio nel luglio del 1938 e pubblicò il romanzo a puntate, sul suo “Popolo e Libertà”, tra il 7 settembre e il 27 ottobre di quello stesso anno. Il libro uscì nel giugno dell’anno successivo, dal medesimo Istituto Editoriale Ticinese che aveva pubblicato “Il Voltamarsina”. Come in quel caso, Alberti guardava ancora a Manzoni, arrivando persino ad ipotizzare che l’autore dei “Promessi sposi” si fosse ispirato in qualche modo ai medesimi fatti ticinesi…

«Cresciuto all’epoca degli enciclopedisti, il dottore (o chirurgo come di diceva allora) era stato un fervente ammiratore di Voltaire ed ancora si esaltava al ricordo del suo viaggio a Parigi per assistere all’ultimo solenne ingresso del filosofo di Ferney mentre il re stesso, dopo aver vietata l’entrata di Voltaire, aveva finto di non accorgersi del fatto, quando tutta Parigi, tutta la Francia, anzi tutto il mondo era già scosso dall’avvenimento. Si era allora nel 1778. Il dottore era rimasto a Parigi per assistere ai funerali di Voltaire, morto subito dopo l’estremo trionfo» (Francesco Alberti, “Diavolo d’una ragazza!”, cap. I)

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Federica Spitzer

(Vienna 1911 – Lugano 2002), di origine ebraica, scelse volontariamente la deportazione a Theresienstadt per salvare la vita dei suoi genitori. Scampata alla Shoah, testimoniò ai giovani delle scuole ticinesi l’orrore del Lager, ma anche l’irriducibile forza di resistenza degli esseri umani.

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Marietta Crivelli Torricelli

(Lugano 1853 – 1928), fondatrice della “Società di mutuo soccorso femminile”, delle “Case del soldato” e di numerose altre iniziative filantropiche, per tutta la vita si dedicò con energia e abnegazione ai bisognosi, tanto da essere soprannominata e nota in tutto il Cantone come la “Mamma dei poveri”.

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Francesco Alberti

(Montevideo 1882 – Bellinzona 1939), sacerdote cattolico, direttore del quotidiano «Popolo e Libertà» e amico di don Luigi Sturzo, fu tra i primi nel Canton Ticino a denunciare con fermezza le colpe e i pericoli del fascismo, nonché i soprusi della guerra di Spagna e di ogni totalitarismo.

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Carlo e Anna Maria Sommaruga

Carlo Sommaruga (Lugano 1902 – Roma 1955), diplomatico svizzero, a rischio della vita diede protezione a famiglie ebree perseguitate dai nazifascisti, ospitandole nella sua casa romana e a Villa Maraini. Sua moglie Anna Maria Valagussa (Roma 1905 – 1998), infermiera della Croce Rossa, si spese per aiutare rifugiati italiani riparati in Svizzera, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, politica o confessionale.

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Guido Rivoir

(Champdepraz 1901 – Lugano 2005), pastore valdese, antifascista e generoso sostenitore di persone in difficoltà, dopo il colpo di stato che depose nel 1973 il presidente Allende e inaugurò la dittatura di Pinochet fu tra i più convinti sostenitori dell’azione “Posti liberi per i rifugiati cileni”.

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