«Theresienstadt era stata originariamente concepita dai nazisti come un Lager di transito, dunque anticamera della morte, perché tutti dovevano finire ad Auschwitz; d’altra parte era concepita come un Lager modello, da esibire come una facciata alle commissioni internazionali, faccia che tuttavia non aveva nulla a che vedere con i fatti. Pertanto la presenza di così numerosi artisti famosi gli veniva utile» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 88)
L’ingresso del cortile principale di Theresienstadt, con la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi) come nel campo di concentramento di Auschwitz.
L’arrivo di nuovi detenuti nel ghetto di Theresienstadt in un quadro dell’artista ceco Bedrich Fritta, morto ad Auschwitz l’8 novembre 1944.
«Theresienstadt, con la sua forma ottagonale costituita da mura e fortificazioni, formava, vista dall’alto, una figura così inconfondibile, da indurre gli Alleati a non bombardarla» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 132)
Il cittadina fortificata di Theresienstadt, costruita nel 1784 a nord di Praga in onore dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, fu trasformata in ghetto dai nazisti nell’estate del 1941. La particolare struttura a griglia delle strade e il fossato che contornava il perimetro ottagonale si prestavano facilmente alla gestione di un Lager solo in apparenza meno terribile di quelli di Auschwitz o Dachau. In quattro anni di attività vi morirono di stenti oltre 35’000 detenuti e altri 88’000 partirono da lì per trovare la morte ad Auschwitz.
Immagini del ghetto di Theresienstadt tratte da un opuscolo del secondo dopoguerra (Fotografie Orbis). Il cortile delle donne.
La prigione russa
Il quarto cortile
La casa delle guardie
Il cimitero dei detenuti
Il forno crematorio
Nelle intenzioni dei nazisti, a Theresienstadt si sarebbero dovute mettere in pratica tecniche di autogoverno ebraico e una gestione della comunità totalmente indipendente dal mondo esterno, con tanto di economia separata e banconote emesse della zecca del campo. Mentre già si profilava all’orizzonte l’idea della “soluzione finale”, non era ancora stato del tutto accantonato infatti il “Piano Madagascar”, che prevedeva il trasferimento dell’intera popolazione ebraica nella grande isola africana. A Theresienstadt alcuni dei progetti pensati per il Madagascar furono messi in atto con l’unica intenzione di rendere ancora più isolata e controllata la vita dei detenuti del campo.
Una banconota emessa a Theresienstadt nel gennaio del 1943 (Archivio storico di Lugano, Fondo Federica Spitzer).
«Su ordine delle SS, alla fine del 1943 cominciò una vasta operazione di abbellimento della città. Theresienstadt doveva dare l’impressione alle commissioni della Croce Rossa Internazionale di essere un piacevole luogo di villeggiatura. Le facciate delle case delle strade principali furono spruzzate di colore da grandi autobotti piene di pittura. Si rifece la pavimentazione delle strade e fu accordato il libero accesso alla piazza principale, che fino a quel momento non era permesso varcare. Si creò un tappeto erboso. Si piantarono dei roseti e si eresse un Odeon: tutte cose tipiche di un luogo di cura. Si costruì addirittura un parco-giochi per bambini» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 93)
«Su desiderio delle SS, il famoso cabarettista, attore e regista Kurt Gerron fondò un suo cabaret che eglichiamò Karussel. Nell’anno 1944 i nazisti, approfittando del suo grande talento, gli chiesero di realizzare unfilm propagandistico su Theresienstadt che avrebbe dovuto chiamarsi Il Führer regala agli ebrei una città.Volente o nolente, dovette attenersi al copione voluto dai nazisti e filmare scene di massa totalmenteirrealistiche. Dietro alle telecamere c’erano mitra spianati» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 90)