«Vi parlo questa sera di un argomento, l’immensità del quale vorrei che realizzaste appieno». Si inaugurava con queste parole il discorso, tenuto a Londra il 17 dicembre 1942 dall’ambasciatore polacco in Gran Bretagna Edward Bernard Raczyński, con il quale il mondo apprese per la prima volta l’orrore dell’Olocausto e dei campi di concentramento tedeschi in territorio polacco. Prima di allora nessuno aveva veramente intuito, nei paesi alleati, la portata e la tremenda efficienza della macchina di sterminio nazista. Fu per il diffondersi di queste notizie, ancora parziali e frammentarie, che l’opinione pubblica europea e americana iniziò ad adoperarsi per la salvaguardia degli ebrei d’Europa.

«Dal momento in cui avevamo preso posto sul treno a quello della partenza trascorsero ancora alcune ore. Poi il convoglio partì. Superammo dapprima la stazione ferroviaria di Bauschowitz, poi la prima grossa località, Leitmeritz, dove l’Eger si getta nell’Elba. […] Il viaggio continuò poi in direzione sud-ovest verso Karlsbad, attraverso la frontiera tedesca verso Bayreuth. Quel tratto lo facemmo nottetempo. Arrivammo a Norimberga di primo mattino e continuammo sempre verso sud, in direzione di Augsburg e poi Friedrichshafen, sul lago Bodanico» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 129)

Federica Spitzer e i suoi genitori furono salvati, assieme ad altri 1200 ebrei di Theresienstadt, con un convoglio speciale organizzato grazie al riscatto di cinque milioni di franchi pagato ai nazisti dall’Unione dei rabbini ortodossi statunitensi e canadesi. Tramite dell’operazione con Heinrich Himmler (braccio destro di Hitler) e Ernst Kaltenbrunner (comandante in capo delle SS) era stato l’ex-consigliere federale svizzero Jean-Marie Musy, di cui erano note le simpatie per il nazismo e la sua avversione contro i sovietici. Le ragioni del gesto di Musy, che ebbe comunque un esito positivo per molte vite umane, restano oscure e probabilmente non furono del tutto disinteressate.

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Federica Spitzer

(Vienna 1911 – Lugano 2002), di origine ebraica, scelse volontariamente la deportazione a Theresienstadt per salvare la vita dei suoi genitori. Scampata alla Shoah, testimoniò ai giovani delle scuole ticinesi l’orrore del Lager, ma anche l’irriducibile forza di resistenza degli esseri umani.

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Marietta Crivelli Torricelli

(Lugano 1853 – 1928), fondatrice della “Società di mutuo soccorso femminile”, delle “Case del soldato” e di numerose altre iniziative filantropiche, per tutta la vita si dedicò con energia e abnegazione ai bisognosi, tanto da essere soprannominata e nota in tutto il Cantone come la “Mamma dei poveri”.

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Francesco Alberti

(Montevideo 1882 – Bellinzona 1939), sacerdote cattolico, direttore del quotidiano «Popolo e Libertà» e amico di don Luigi Sturzo, fu tra i primi nel Canton Ticino a denunciare con fermezza le colpe e i pericoli del fascismo, nonché i soprusi della guerra di Spagna e di ogni totalitarismo.

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Carlo e Anna Maria Sommaruga

Carlo Sommaruga (Lugano 1902 – Roma 1955), diplomatico svizzero, a rischio della vita diede protezione a famiglie ebree perseguitate dai nazifascisti, ospitandole nella sua casa romana e a Villa Maraini. Sua moglie Anna Maria Valagussa (Roma 1905 – 1998), infermiera della Croce Rossa, si spese per aiutare rifugiati italiani riparati in Svizzera, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, politica o confessionale.

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Guido Rivoir

(Champdepraz 1901 – Lugano 2005), pastore valdese, antifascista e generoso sostenitore di persone in difficoltà, dopo il colpo di stato che depose nel 1973 il presidente Allende e inaugurò la dittatura di Pinochet fu tra i più convinti sostenitori dell’azione “Posti liberi per i rifugiati cileni”.

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