«Il treno era lì. Eccezionalmente non si trattava di un treno merci, bensì un treno viaggiatori, con piccoli scompartimenti che normalmente contenevano sei persone. Normalmente. Noi fummo spinti dentro in tredici e non si capiva come avremmo fatto a starci. […] Si mormorava che la nostra destinazione era una fortezza in Cecoslovacchia, una casamatta o un carcere sotterraneo. Qualcosa di tremendo, insomma, di cui nessuno di noi sapeva più precisamente» (Federica Spitzer, “Anni perduti”, 41-42)